La contestazione dei portuali di Trieste, tra lotta sociale e implicazioni internazionali

Negli ultimi giorni le piazze di ogni città del Belpaese si sono riempite di contestatori contro il Green pass, contro il ricatto velato del governo. Migliaia di persone comuni, a cui si sono aggiunti gruppi di anarchici e partiti di estrema destra, hanno cavalcato l’onda della protesta di massa per infiltrarsi tra i manifestanti e rivendicarne la partecipazione.

Di conseguenza lo Stato ha mostrato il pugno duro contro chiunque si è posto al di fuori della dittatura sanitaria. Caso speciale riguarda i pacifici portuali triestini. Ma come mai lo stesso Stato non interviene contro gli squadristi fascisti che hanno devastato la CGIL e invece lo fanno con i portuali? Le ragioni appaiono molteplici, e vanno da quelle interne all’Italia alla politica internazionale, in quanto il porto di Trieste è da molto tempo la principale porta d’entrata dal Mediterraneo all’Europe centrale, ed uno dei principali terminal marittimi delle Nuove Vie della Seta cinesi.

Tutto è iniziato nella giornata del 15 ottobre, quando i portuali hanno iniziato un lungo sciopero contro l’obbligatorietà del Green pass. In molti, sprovvisti di esso, non hanno potuto accedere al posto di lavoro, e contro i ricatti del sistema hanno occupato il varco 4 del porto, l’accesso principale. La manifestazione attira in poche ore migliaia di persone da tutta Italia, che si aggregano ai portuali e richiama le attenzioni della polizia, che passa in poche ore alle maniere forti e carica la pacifica massa inerme sgomberando l’entrata al porto. 

Dopo la seconda giornata, lo sciopero sembrava già finito ed ogni residua volontà di resistenza era di fatto annullata dalle forze dell’ordine. A questo punto però alcuni puri e duri non si arrendono, fondano il Comitato portuali del 15 settembre e continuano la lotta con un presidio ad oltranza nei pressi del porto, che comunque riprende la normale attività. 

A riguardo, il ministro dell’interno Lucia Lamorgese, ha affermato che le attività portuali hanno sempre continuato a svolgersi regolarmente, e non c’è stata una strategia della tensione pianificata dal Viminale. Se fosse vero, perché intervenire con idranti e lacrimogeni? In mano i portuali ribelli non tenevano spranghe, ma rosari, e hanno visto il volto senza pietà del governo, inflessibile, che non ammette deroghe né rinvii sul green pass obbligatorio per tutti i lavoratori dipendenti. Unico paese al mondo da venerdì scorso, mentre in tutta Europa nel frattempo la situazione ritorna alla normalità senza alcun obbligo di vaccino. Le immagini dei portuali che tentano di restare in piedi, dritti contro i cannoni d’acqua e le cariche della polizia, e altri che si tengono la mano con dei rosari, hanno fatto il giro del mondo e sono diventate un simbolo della protesta. 

Intanto altri conflitti sono in vista al porto di Trieste, l’attesa di fascisti e “Black Bloc” in massa da tutta Italia (si stimano sui ventimila) scatena l’allerta generale tra le forze dell’ordine, e anche lo sviluppo dello sciopero del porto di Genova è da monitorare, seppur questa mattina all’alba il minuto presidio sembra essere stato definitivamente sgomberato.

Il fatto è che come precedentemente accennato, il porto di Trieste, principale porto d’Italia in termini di attività e investimenti, è da alcuni anni al centro d’interessi geopolitici e finanziari di primo ordine. Paesi come la Germani e la Cina vi hanno investito somme colossali. È infatti il principale porto petrolifero del Mediterraneo, porta d’accesso all’Europa centrale e, soprattutto, porto franco. Un suo blocco totale era dunque impensabile per il governo del primo ministro Mario Draghi, precedentemente direttore della Banca centrale europea e garante della tenuta brussellese dell’Italia, paese politicamente instabile ma dall’importanza geostrategica capitale per la sua posizione centrale nel Mediterraneo e la presenza di un gran numero di porti ben equipaggiati…

Alberto AGHAKHAN

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